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Vuoi salvare il pianeta? Falli lavorare da casa, imbecille!

by Simone Renzi / Giugno 22, 2025
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This post is also available in: English (Inglese)

Torno a parlare nuovamente di Smart Working. Avevo già dedicato un articolo a questo tema ma oggi un post su LinkedIn mi ha spinto a prendere una posizione netta motivandola dal punto di vista ambientale.

Lavori remotizzabili e non

La prima riflessione che dobbiamo fare sullo smart working ancor prima di poter parlare di cifre è capire (e stimare) quali lavori sono effettivamente remotizzabili; perché è ovvio che ci siano lavori dove lo smart working non sia attuabile… Barista, Assemblatori, Magazzinieri, Tecnici di manutenzione, Infermieri, Fisioterapisti, OSS, Muratori, Elettricisti, ecc.

È chiaro che in contesti del genere, dove la presenza è elemento fondamentale per poter condurre l’attività lavorativa c’è poco da fare.

C’è però una lunga serie di professioni in cui la presenza in ufficio non solo è inutile (almeno pedissequamente), ma produce una serie di “contro” oggettivi che impattano l’energia mentale, il tempo, del lavoratore e anche l’ecosistema ambientale.

Sviluppatori, Data Scientists, Esperti di Cybersecurity, Copywriter, Designer grafici, SMM, Video editor, contabili, fiscalisti, PM, Recuiter, Consolenti aziendali, formatori online, coach professionali, redattori, CRM specialist, SEO specialist, customer service, ingegneri progettisti, analisti, ricercatori, ecc. ecc.

La lista è sterminata… Sono tutte professioni che possono facilmente essere svolte in remoto.

Dati statistici

Ad oggi, secondo i dati più recenti, circa 3,5 milioni di italiani svolgono almeno in parte il proprio lavoro in modalità agile. Ma il vero potenziale è molto più ampio. Studi autorevoli stimano che tra i 9 e gli 11 milioni di lavoratori, pari al 35/45% degli occupati italiani, svolgano professioni compatibili con lo smart working, almeno per alcuni giorni a settimana. Purtroppo questi lavoratori, spesso per rigidità culturale o burocratica, vengono ancora costretti a percorrere decine di chilometri al giorno per stare davanti a un computer che potrebbero suare da casa.

Impatto ambientale enorme

Secondo una stima dell’ENEA (su dati reali di città come Roma, Bologna, Torino), ogni giornata di smart working permette di evitare circa 6 kg di CO2 a persona.

Tradotto in termini annuali (ipotizzando 100-120 giornate smart all’anno), comportano circa 600kg di emissioni evitate per ciascun lavoratore agile.

Moltiplichiamo questo dato per il numero di lavoratori potenzialmente remotizzabili (9-11 milioni): otteniamo un risparmio che va da 5,4 a 6,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.
È un contributo concreto, misurabile, paragonabile all’impatto positivo di un piano nazionale di riforestazione.

Impatto ambientale indiretto: benefici per chi non può fare smart working

Ecco il punto decisivo: meno pendolari significa anche meno traffico. E meno traffico significa che anche chi deve per forza muoversi con mezzi a motore: medici, operai, tecnici e tutte le categorie già viste, lo farà più velocemente, consumando meno carburante e di conseguenza inquinando di meno.

Un esempio pratico?
Un camion che impiega 40 minuti per attraversare una città in ora di punta, in condizioni di congestione consuma fino al 40% in più di gasolio rispetto alla stesso tragitto percorso in 20 minuti a traffico scorrevole.
Lo stesso ragionamento si applica ad auto, moto e mezzi pubblici rallentati o incolonnati.

Quindi ogni lavoratore in smart working aiuta indirettamente anche chi non può farlo, contribuendo a una seconda ondata di riduzione di CO2.

Meno stress equivale a più lucidità

Oltre all’ambiente c’è anche il benessere personale. Ogni smart worker risparmia in media 150 ore all’anno di spostamenti. Questo comporta più tempo per dormire, meno stanchezza alla guida, minore esposizione a inquinanti urbani, più serenità mentale; e questo vale anche per chi resta in strada ma si trova in un traffico più fluido e meno aggressivo.

Una boccata d’ossigeno anche per le tasche

Chi lavora in presenza lo sa: andare in ufficio ha un costo, e non solo in termini di fatica. I conti sono presto fatti. Carburante, usura del veicolo, pedaggi, parcheggi, pasti fuori casa, caffé, piccole spese quotidiane e la somma può facilmente superare i 3000 euro l’anno. Anche riducendo la presenza in sede a due o tre giorni a settimana, si può risparmiare almeno la metà di quella cifra, senza sacrificare nulla della propria efficienza o professionalità e questo vale ancora di più per chi vive fuori città.

Per chi è fuori, il traffico può durare un’ora o più e in quei casi lo smart working non è un “plus”, è una misura di sopravvivenza logistica ed economica.

E i furbetti dello smart working? Si, ci sono ma li becchi subito

Parliamoci chiaro: sì, i “furbetti del quartierino” esistono. Chi pensa che smart working significhi rilassarsi sul divano col portatile aperto e Netflix c’è sempre stato e sempre ci sarà ma non è lo strumetno a essere sbagliato, è il modo con cui si misura la produttività.

Un lavoratore che produce poco da remoto, semplicemente lo faceva già anche in ufficio, solo che li lo nascondeva meglio, tra una pausa caffé infinita, due chiacchiere con i colleghi e mille riunioni inutili.

Con lo smart working invece te ne accorgi prima e meglio. I ritardi diventano evidenti. Le dead-line progettuali mancate si accumulano. Le consegne slittano. Le email restano senza risposta per ore. I flussi produttivi rallentano anche quando tutto il resto del team marcia.
Chi lavora bene, da casa rende anche di più.
Chi lavora male, da casa non ha più scuse.

Non servono micro-controlli o software spia. Basta guardare i risultati, le metriche, la puntualità. Un’azienda che lavora per obiettivi si accorge subito di chi sta performando e di chi invece sta approfittando della situazione, e può agire di conseguenza, esattamnete come farebbe per un collaboratore inefficiente in presenza.

Insomma lo smart working non è un lasciapassare per lavorare di meno. È un test di maturità professionale che premia chi sa gestire autonomia, disciplina e fiducia e, come sempre, chi non è all’altezza si screma da solo.

Un’opportunità di civiltà

Pensare al lavoro da casa come a un capriccio o una scorciatoia è una visione molto miope. Lo smart working non è un benefit ma uno strumento di civiltà. Fa bene al lavoratore, fa bene all’azienda, fa bene alla città e non per ultimo come importanza, fa bene all’ambiente!

Inoltre non penalizza chi non può adottarlo, al contrario, migliora anche la sua vita, alleggerendo il traffico, riducendo i ritardi e diminuendo le emissioni.

In un Paese che fatica a riformarsi, adottare lo smart working dove è possibile non è una questione di moda. È una questione di buon senso, equità e responsabilità collettiva.

Chi può lavorare da casa e sceglie di farlo con serietà, non è un privilegiato, è un acceleratore silenzioso di civiltà per tutti. Perché a volte per cambiare il mondo non serve fare qualcosa di attivo, basterebbe non uscire di casa.

Simone Renzi
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