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Da circa sette anni convivo con la celiachia, una condizione che mi è stata diagnosticata dopo un lungo periodo di malessere diffuso e inspiegabile. I sintomi erano continui e debilitanti: gonfiore addominale, meteorismo persistente, reflusso acido al punto da togliermi la voce, fiato corto e disturbi intestinali frequenti. Come accade a molti, le prime risposte ricevute dai vari specialisti si sono limitate a cure palliative a base di gastroprotettori e procinetici. Ogni volta che sospendevo la terapia, bastavano pochi giorni per ritrovarmi punto e a capo.
A un certo punto ho deciso di rivolgermi al Prof. Antonino Gasbarrini, primario di Gastroenterologia al Policlinico Gemelli di Roma. Grazie a una valutazione completa, comprensiva di esami del sangue, test sierologici ed esame istologico su biopsia intestinale, è arrivata la diagnosi definitiva: celiachia conclamata.
Incredulo, ho dovuto accettare una nuova realtà: io, che per anni avevo mangiato pane, pasta e pizza senza problemi, avevo attivato, per una combinazione di fattori genetici e ambientali, la risposta autoimmune tipica della celiachia.
Secondo le stime più accreditate, nel mondo ci sono oltre 80 milioni di persone affette da celiachia, un numero superiore all’intera popolazione italiana. Se includiamo anche chi soffre di intolleranza al glutine non celiaca, la cifra complessiva raggiunge i 500 milioni di individui. Un dato che conferma come il glutine sia diventato, per una fetta sempre più ampia della popolazione, un nemico invisibile ma reale.
Ma perché oggi si parla tanto di celiachia? In parte, la crescita apparente è legata al miglioramento dei test diagnostici: solo dagli anni ’80 sono disponibili esami sierologici affidabili come gli anticorpi anti-gliadina (AGA) e anti-endomisio (EMA); e solo dagli anni 2000 si è diffuso l’uso degli anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (tTG), oggi considerati il gold standard per la diagnosi. Prima, molti pazienti celiaci venivano erroneamente classificati con “colon irritabile”, “intolleranza generica”, o non diagnosticati affatto.
Tuttavia, l’aumento non è solo statistico. Esistono fattori industriali e agricoli che hanno contribuito a un’esposizione maggiore al glutine. Le moderne varietà di grano sono state selezionate per contenere più glutine, al fine di migliorare elasticità, tenuta in cottura e resa nei processi industriali. Un esempio che toglie ogni dubbio? Chi ricorda la pasta degli anni ’90 sa che bastava cuocerla un minuto in più per trovarsi con una buona colla per attaccare manifesti. Oggi, la pasta resta “al dente” molto più a lungo, e questo è merito (o colpa) di una presenza di glutine molto più elevata rispetto al passato. Nei soggetti geneticamente portati allo sviluppo della malattia celiaca questo aumenta notevolmente l’attivazione dei geni che portano alla malattia conclamata. Per parafrasare, sarebbe come se una persona è geneticamente soggetta a sviluppare il cancro ai polmoni e fuma tre pacchetti di sigarette al giorno. Questo stile di vita non fa altro che aumentare incredibilmente il rischio di sviluppare quella forma di cancro.
Chiunque riceva una diagnosi di celiachia, soprattutto se ha una minima familiarità con la tecnologia e Internet, compie quasi inevitabilmente lo stesso gesto: aprire Google e digitare frasi come “cura definitiva per la celiachia”, “si può guarire dalla celiachia?”, “vaccino contro il glutine”, oppure “enzimi per mangiare alimenti con glutine senza star male”.
È una reazione naturale: si cerca una via d’uscita, una soluzione, un rimedio che consenta di tornare a una vita normale, dove una pizza o un piatto di pasta non rappresentino un potenziale pericolo per la salute.
Purtroppo, ad oggi, non esiste una cura definitiva per la celiachia: l’unico trattamento efficace è la dieta rigorosamente priva di glutine, da seguire per tutta la vita. Tuttavia, la ricerca scientifica è molto attiva, e negli ultimi anni si sono moltiplicate le sperimentazioni su farmaci enzimatici, vaccini e terapie cellulari che potrebbero un giorno affiancare, o forse sostituire, la dieta gluten free.
Questa costante ricerca di soluzioni dimostra quanto sia diffusa, e spesso sottovalutata, la necessità di strumenti pratici, immediati e affidabili per rilevare il glutine negli alimenti prima di consumarli.
Sebbene la celiachia oggi non abbia una cura definitiva, la comunità scientifica è al lavoro su diverse terapie sperimentali che potrebbero, in futuro, cambiare radicalmente la gestione della malattia. Dai farmaci inibitori, agli enzimi digestivi, passando per terapie cellulari e modulatori intestinali, le strade battute dalla ricerca sono numerose e in fase di sviluppo.
Uno dei candidati più promettenti è ZED1227, un farmaco orale che blocca l’enzima transglutaminasi 2 (TG2), centrale nell’attivazione della risposta autoimmune al glutine. Ha completato con successo la Fase 2a degli studi clinici, dimostrando di poter prevenire i danni alla mucosa intestinale nei soggetti celiaci.
Se, e sottolineiamo se, la Fase 3 confermerà l’efficacia, potrebbe arrivare sul mercato non prima di 5 anni.
Questa pillola innovativa utilizza anticorpi estratti dal tuorlo d’uovo per legare il glutine direttamente nell’intestino, impedendone l’assorbimento e quindi la reazione immunitaria. Ha superato i test di sicurezza, e i primi studi clinici sull’efficacia inizieranno a breve.
Potrebbe diventare disponibile in circa 4 anni, ma solo se supererà le successive fasi di sperimentazione.
Un approccio più radicale prevede l’uso di linfociti T regolatori ingegnerizzati, capaci di ripristinare la tolleranza al glutine senza sopprimere l’intero sistema immunitario. Attualmente la terapia è ancora in fase preclinica su modelli animali, con risultati promettenti.
In caso di successo, si parla comunque di almeno 10 anni prima di una possibile applicazione clinica.
Questi farmaci contengono enzimi che degradano il glutine nello stomaco prima che possa scatenare la risposta immunitaria. Sono pensati per essere assunti prima dei pasti. Il candidato TAK-062 è in Fase 1, mentre altre formulazioni sono più avanti.
Tempistiche stimate: 7 anni prima di un eventuale lancio commerciale.
Larazotide agisce sulle giunzioni strette dell’epitelio intestinale, riducendo la permeabilità intestinale e impedendo al glutine di superare la barriera e attivare il sistema immunitario. È già in Fase 3, con dati promettenti.
Se confermato, potrebbe essere disponibile entro 4 anni.
Queste terapie non sono ancora approvate, ma alimentano la speranza in una futura gestione farmacologica della celiachia, che potrebbe affiancare, o forse un giorno sostituire, la rigida dieta senza glutine.
Se siete arrivati fin qui, avrete capito una cosa fondamentale: le cure per la celiachia sono ancora lontane. I farmaci in via di sviluppo promettono molto, ma sono ancora nella fase della sperimentazione clinica. E ogni promessa è accompagnata da un enorme “SE”: se funzioneranno, se saranno sicuri, se supereranno tutte le fasi, forse arriveranno sul mercato tra 4, 5, 10 anni.
Nel frattempo, per milioni di persone, l’unica soluzione concreta resta una sola: seguire una dieta completamente priva di glutine. Ed è qui che si apre un secondo, drammatico capitolo: quello della contaminazione accidentale.
A chi vive con la celiachia è capitato — troppe volte — di andare in un ristorante e, alla fatidica domanda “siete attrezzati per i celiaci?”, sentirsi rispondere con leggerezza:
“Ma lei… quanto è celiaco?”
Una frase di “pecoroni”, completamente inadatti al ruolo che svolgono, che suona come una pugnalata, ma soprattutto dimostra una pericolosa ignoranza. Perché la celiachia non ha gradi: non esiste il “poco” o il “tanto” celiaco. La celiachia è una condizione autoimmune sistemica: o sei celiaco, o non lo sei. Un solo errore, una sola contaminazione, può causare giorni, se non settimane di disturbi intestinali, infiammazione sistemica, carenze nutrizionali, stanchezza cronica. E nei soggetti più sensibili, le conseguenze possono essere gravissime.
Chi opera nel settore della ristorazione ha una responsabilità enorme. E con l’aumento esponenziale di intolleranze alimentari, allergie e patologie genetiche — dalla celiachia al favismo — non può più permettersi di ignorare queste condizioni.
Pensate a chi soffre di favismo, una malattia genetica causata da carenza dell’enzima G6PD, che rende i globuli rossi fragili allo stress ossidativo. Se una persona affetta da favismo ingerisce fave o derivati, può andare incontro a una crisi emolitica acuta: i globuli rossi si distruggono in massa (emolisi), portando, nei casi più gravi, a insufficienza renale, collasso cardiocircolatorio e morte se non si procede immediatamente ad una trasfusione.
Non è una questione di preferenze alimentari come i più sciocchi pensano. Non è una moda di mangiare senza glutine per il celiaco. È una questione di salute pubblica!
Serve formazione e consapevolezza comprovata, altrimenti niente licenza per somministrazione di cibi e bevande.
Tornando al caso della celiachia, nel mondo reale, convivere con la celiachia significa dover affidare la propria salute a chi cucina per noi. Ma chi soffre di celiachia sa bene che entrare in un ristorante è spesso un vero atto di fiducia. Ci si affida alla buona volontà, alla formazione, e in molti casi, diciamolo, all’onestà del personale. Alcuni ristoratori preferiscono, coscienziosamente, rinunciare a un cliente celiaco per evitare rischi. Altri, purtroppo, forniscono rassicurazioni solo per guadagnare qualche euro in più, senza avere alcuna reale competenza su glutine, contaminazioni crociate e sicurezza alimentare.
Ed è proprio in queste situazioni che nasce il bisogno di uno strumento affidabile, oggettivo, rapido.
Non sorprende che le ricerche online di chi vive con la celiachia contengano sempre più spesso frasi come: “come sapere se un alimento contiene glutine”, “analizzatore alimenti glutine”, “rilevatore glutine al ristorante”.
Il bisogno è chiaro: si cerca un dispositivo tascabile in grado di analizzare il cibo direttamente a tavola, fornendo un risultato attendibile in pochi secondi, espresso in parti per milione (ppm).
L’unità di misura ppm (parti per milione) è comunemente utilizzata per esprimere concentrazioni estremamente basse di una sostanza all’interno di un’altra. Nel caso della celiachia, indica quanti milligrammi di glutine sono presenti in un chilogrammo di alimento.
Ad esempio:
È proprio questa la soglia che definisce un alimento “senza glutine” secondo la normativa europea ed internazionale.
Eppure, superare i 20 ppm può già scatenare una risposta immunitaria nei soggetti celiaci, con conseguenze anche gravi.
Ecco perché monitorare in modo oggettivo la presenza di glutine non è una fissazione da salutisti, ma una necessità clinica e pratica, soprattutto quando ci si trova in ambienti non controllati, come bar, ristoranti, mense o durante i viaggi.
Ad oggi (maggio 2025), il mercato offre alcune soluzioni per rilevare il glutine negli alimenti, principalmente basate su test immunochimici. Questi dispositivi utilizzano anticorpi specifici per il glutine, integrati in capsule monouso contenenti reagenti chimici. Il funzionamento è semplice nella teoria: si inserisce un piccolo campione di alimento all’interno della capsula, si chiude il contenitore, il dispositivo macina il campione e lo mescola ai reagenti.
Se il glutine è presente, avviene una reazione che viene rilevata otticamente e tradotta in un risultato visivo (ad esempio, un’icona o un messaggio sul display).
Tuttavia, nonostante l’efficacia del principio immunologico, questi strumenti presentano alcune criticità pratiche, soprattutto per chi vorrebbe farne uso quotidiano o portarlo sempre con sé al ristorante.
In sintesi, i dispositivi oggi disponibili sono scientificamente solidi, ma logisticamente e economicamente poco sostenibili per un utilizzo frequente. Servirebbe una soluzione più economica, veloce e riutilizzabile, in grado di rilevare il glutine senza consumabili monouso e con una risposta quasi immediata.
È proprio su questo bisogno concreto che si innesta il progetto SpectraScan Gluten, che approfondiremo nei prossimi paragrafi.
Chi mi segue da tempo forse ricorderà la serie di articoli in cui parlavo del mio progetto sul divisore automatico per la raccolta differenziata, un sistema basato su intelligenza artificiale, computer vision e spettroscopia per identificare i materiali in tempo reale.
Proprio durante lo sviluppo di quel progetto, mi sono posto una domanda tanto semplice quanto importante:
E se la spettroscopia potesse essere usata anche per identificare il glutine nei cibi?
In effetti, il glutine è una molecola, o meglio, un insieme di proteine; e come ogni molecola interagisce con la luce in modi specifici e misurabili. Da qui è nata l’idea di esplorare una tecnologia in grado di rilevare il glutine in modo ottico, senza ricorrere a reagenti chimici o capsule monouso, e soprattutto in pochi secondi.
Mi sono affidato a fonti scientifiche, pubblicazioni e, sì, anche a ChatGPT. Il risultato delle ricerche è stato sorprendente:
la spettroscopia nel vicino infrarosso (NIR) può effettivamente essere utilizzata per rilevare il glutine all’interno di alimenti, specialmente quando associata a modelli chemometrici avanzati come la regressione PLS (Partial Least Squares).
Questa scoperta ha dato il via a quello che oggi è un progetto concreto, ambizioso e già in fase di sviluppo: SpectraScan Gluten, il primo rilevatore tascabile e riutilizzabile per la misura ottica del glutine nei cibi, progettato per i celiaci e pensato per essere utilizzato fuori casa, in autonomia e senza costi ricorrenti. Naturalmente non mi sbilancio prima di aver condotto delle prove concrete, però gli elementi teorici sono molto incoraggianti.
La spettroscopia NIR è una tecnica avanzata che analizza il modo in cui la luce interagisce con la materia. Ogni molecola, incluso il glutine, assorbe e riflette la luce in maniera diversa a seconda della propria struttura chimica. Utilizzando un micro-spettrometro miniaturizzato, SpectraScan Gluten acquisisce lo spettro di riflettanza diffusa della superficie dell’alimento da analizzare.
A quel punto entra in gioco un modello matematico di tipo chemometrico, più precisamente una regressione PLS (Partial Least Squares), che interpreta lo spettro e lo traduce in un dato numerico: la concentrazione di glutine, espressa in parti per milione (ppm).
In questo modo, SpectraScan Gluten sarà in grado di rilevare in pochi secondi se un alimento contiene più o meno del limite critico di 20 ppm, ovvero la soglia oltre la quale un alimento non può più essere considerato “senza glutine” secondo le normative internazionali.
Il tutto senza sostanze chimiche, senza capsule da smaltire, e con un dispositivo tascabile, leggero, semplice da usare, pensato per chi, come me e altri milioni di persone, vive la celiachia ogni giorno e vuole maggiore autonomia e sicurezza quando mangia fuori casa.
Credo profondamente che l’innovazione debba essere accessibile e condivisa, soprattutto quando può migliorare concretamente la qualità della vita di milioni di persone.
Per questo motivo, la documentazione tecnica e i vari paper su cui si poggia SpectraScan Gluten saranno resi pubblici, ma solo dopo l’immissione sul mercato del primo modello. La condivisione avverrà sotto una licenza di tipo BSL (Business Source License) o simile, che consente l’uso personale o di ricerca, ma impedisce ogni forma di utilizzo commerciale non autorizzato.
In altre parole, chiunque: sviluppatori, maker, associazioni, studenti, potrà studiare, replicare e persino migliorare il dispositivo per scopi non commerciali, ma non potrà venderlo o sfruttarlo a fini di lucro senza un accordo formale. Tanto per dire che non sono disposto a perde ogni giorno ore di sonno, per far arrivare il primo produttore a rubare l’idea del prodotto per farsi ancora più ricco…
Il funzionamento è semplice e pensato per l’uso quotidiano da parte dei celiaci.
Basta appoggiare il sensore su vari punti della superficie dell’alimento ed effettuare più scansioni per ottenere un quadro completo.
Essendo una tecnologia ottica basata su riflettanza NIR, la spettroscopia è sensibile solo ai primi millimetri della superficie: non può “vedere dentro” un alimento chiuso.
Se ad esempio volete controllare un raviolo ripieno, è fondamentale tagliarlo e analizzarne anche il contenuto interno. Questo piccolo gesto può fare la differenza tra un pasto sicuro e un errore pericoloso.
SpectraScan Gluten è progettato per essere:
Questo significa poter rilevare in tempo reale se un alimento supera la soglia di sicurezza dei 20 ppm, riconosciuta a livello europeo come limite massimo per poter definire un prodotto “senza glutine”.
La spettroscopia NIR, finora riservata a laboratori e applicazioni industriali, può oggi essere portata nel quotidiano di milioni di persone celiache.
Con SpectraScan Gluten stiamo trasformando una tecnologia avanzata in uno strumento tascabile, preciso, rapido e accessibile, progettato per migliorare in modo concreto la sicurezza alimentare delle persone affette da celiachia.
Questo progetto non è solo una sfida tecnologica, ma un gesto di responsabilità verso una comunità che oggi vive con limitazioni, incertezza e rischi costanti ogni volta che si siede a tavola fuori casa.
Se sei un paziente, un genitore, un medico, uno sviluppatore, un divulgatore, un investitore, un giornalista o semplicemente qualcuno che crede nell’innovazione a impatto sociale, ti invito a seguire da vicino il percorso di SpectraScan Gluten.
Nei prossimi mesi condividerò aggiornamenti, prototipi e risultati reali. E quando sarà il momento, renderò pubblica la documentazione per permettere ad altri di imparare, replicare e contribuire.
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