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Perché un manager decide di andarsene?

by Simone Renzi / Maggio 18, 2025
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This post is also available in: English (Inglese)

Ho volutamente inserito questo articolo nella categoria “Attualità” perché sempre più spesso assistiamo al fenomeno dei manager che abbandonano il proprio posto di lavoro.

La tipica affermazione a posteriori dell’imprenditore è sul tenore di un «Meno male che se n’è andato». Tuttavia puntualmente segue un rallentamento aziendale evidente.

Questo discorso vale, ovviamente, esclusivamente per i manager di talento; di manager incapaci ne ho conosciuti fin troppi, inseriti in ruoli di responsabilità per raccomandazioni, parentele o motivazioni del tutto estranee alle competenze effettivamente richieste.

Vorrei qui, invece, soffermarmi sui manager autentici, quelle rare figure professionali caratterizzate da un insieme unico di qualità che li rendono punti di riferimento imprescindibili non soltanto per la proprietà aziendale, ma soprattutto per i dipendenti che quotidianamente seguono le loro direttive. Mi riferisco a quei professionisti che posseggono competenze trasversali, capacità analitica e un carisma naturale che permette loro di proporre e realizzare idee con l’approvazione entusiasta dei collaboratori.

Se possiedono tutte queste qualità e godono di tale sostegno, perché abbandonano l’azienda?

Quando si parla di figure di questo calibro, raramente la motivazione è economica. Anzi, l’aspetto retributivo è generalmente l’ultimo dei problemi. Quasi sempre, la scelta di andarsene scaturisce da una rottura con l’imprenditore.

Cari imprenditori, diciamoci la verità: non avete costruito il vostro successo solo ed esclusivamente grazie al vostro talento personale. In larga misura, la fortuna della vostra azienda è determinata dalla struttura operativa che vi sostiene e che quotidianamente viene gestita da direttori, responsabili e impiegati. Sono loro il vero motore della vostra impresa. Di conseguenza, il rispetto che pretendete dai vostri collaboratori dovrebbe essere ricambiato in modo ancora più significativo e non mi riferisco necessariamente ad un encomio economico, ma al modo con cui vi interfacciate con loro: rispetto e riconoscenza.

Perché avviene la rottura?

La rottura nasce spesso perché molti imprenditori, appena iniziano ad ottenere risultati economici importanti, cadono nella trappola dell’onnipotenza. I soldi hanno purtroppo questo effetto collaterale sulle menti fragili, trasformandole rapidamente in persone arroganti, ciniche, anempatiche e distaccate dalla realtà. Dimenticano facilmente le proprie origini e perdono il rispetto per chi, con competenza e professionalità, ha contribuito al loro successo. In breve, si sentono invincibili e superiori a tutti.
Questo concetto mi ricorda simpaticamente il film “Il Marchese Del Grillo” dove in una scena, un eccezionale Alberto Sordi, recitava:

«Perché io so’ io, e voi non siete un c@xx0»

Tuttavia, quando un manager lascia l’azienda, è curioso notare come spesso l’imprenditore senta la necessità di giustificarsi con gli altri collaboratori, cercando approvazione con frasi di circostanza come: “Menomale che se ne è andato”. Una frase che riscuote forse qualche timido consenso da parte dei lecca-piedi, per non usare altra analogia più altisonante ma ci siamo capiti; ma che intimamente non trova approvazione autentica in nessuno.

Servirebbe invece un po’ di sana autocritica. Occorrerebbe interrogarsi seriamente: se era così bravo, perché se ne è andato? Dialogare, cerca di comprendere le reali motivazioni della sua scelta e risolvere i problemi insieme sarebbe il modo più maturo e intelligente di gestire queste situazioni delicate.

L’errore più grande, infatti, è pensare che tutti siano utili e nessuno indispensabile, specie in ambito manageriale. Un manager di valore spesso ha alle spalle un percorso lungo e articolato, fatto di esperienze sul campo e profonda conoscenza delle dinamiche aziendali, a volte persino superiore a quella della proprietà aziendale. Non basta sostituire le competenze tecniche per ritrovare lo stesso valore: un grande manager porta con sé caratteristiche umane e caratteriali uniche, spesso innate.

Così come un basso lirico, per quanto talentuoso, non potrà mai raggiungere i sovracuti di un tenore come Juan Diego Floréz, così chi non nasce con determinate qualità difficilmente diventerà un buon leader.
Queste doti innate sono un patrimonio che non si acquisisce semplicemente con l’esperienza lavorativa, ma che nasce con la persona stessa.

I manager migliori sono quelli capaci di pensare fuori dagli schemi. Se poni la stessa domanda a cento persone, il manager di talento risponderà di sicuro diversamente, introducendo prospettive innovative che altri non sono neanche riusciti a cogliere.

Una domanda che dovrebbe essere retorica ma che in realtà non lo è…

Vi lascio con una domanda che dovrebbe essere retorica, ma spesso non lo è: credete davvero di tirare fuori il meglio da un dipendente con ordini impartiti con arroganza, o forse sarebbe più efficace discutere apertamente con lui/lei, spiegando le logiche delle vostre decisioni ed essendo aperti ad un dialogo anche critico ma costruttivo?

Se un manager è ridotto a semplice esecutore di ordini, la sua presenza è totalmente inutile. Basterebbe una semplice circolare interna. Ma nelle aziende strutturate, la figura del manager è cruciale proprio perché è colui che conosce profondamente l’azienda, analizza i dati e le problematiche aziendali, e dovrebbe essere coinvolto direttamente nelle decisioni strategiche.

Ho sempre creduto fermamente nell’approccio data-driven: i dati raccolti con metodo e professionalità sono una miniera d’oro per individuare criticità e applicare soluzioni concrete e mirate. In azienda non si naviga a vista come con una barchetta, ma con la precisione e la responsabilità necessarie per condurre una nave da crociera.

Conclusione

Un’azienda che ambisce a prosperare deve valorizzare concretamente le proprie risorse umane. I grandi manager non si trattengono con lo stipendio o con false lodi occasionali, ma con rispetto autentico, coinvolgimento decisionale e un ambiente lavorativo aperto al confronto, aperto a nuove idee e stimolante. Se non comprederete questo principio fondamentale (per altro citato in numerosi trattati di psicologia del lavoro), continuerete a perdere le persone più preziose e a circondarvi di lecca-piedi incapaci di applicare ragionamento critico, e il successo della vostra azienda sarà sempre più precario e instabile.

Simone Renzi
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