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La pace è meglio della guerra (E grazie al…)

by Simone Renzi / Giugno 10, 2025
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This post is also available in: English (Inglese)

Sto seriamente pensando di cancellarmi da LinkedIn o, quantomeno, di prendermi una pausa più lunga del solito. In fondo utilizzo questi social principalmente per condividere qualche nuovo progetto, ma non sono certo un frequentatore assiduo.

Probabilmente vi direte: “Ok, ciao! Al popolo?” e, in effetti, come darvi torto? Non sono mica la Ferragni! 🤡

Tuttavia, voglio comunque intrattenervi per qualche minuto con alcune riflessioni che forse alcuni di voi condivideranno.

Ho la sensazione di assistere a una sorta di “politica riversata in ambito lavorativo”.
Faccio un esempio: seguo alcuni personaggi con titoli altisonanti e ridicoli sul tono di “NeuroHR Evangelist of Agile Emotional Empowerment and Quantum Team Alignment – politically (in)correct” da quando mi sono iscritto. Saranno senza dubbio delle brave persone, tuttavia trovo che i loro post siano estremamente “populisti” (termine che, purtroppo, è usato e abusato da tutti ma che qui risulta molto calzante), e inoltre decisamente banali. Questa, è un’affermazione veramente “politically incorrect”. Una volta raggiunta una certa soglia di follower, mi pare si finisca col postare qualsiasi luogo comune, per citare qualche esempio: “Un mondo senza guerra è un mondo migliore” o “Un bel picnic in campagna è meglio farlo in una giornata di sole piuttosto che sotto la grandine”. Il tutto abbellito da un’immagine accattivante rubata o scaricata da qualche sito web che offre immagini stock sulle quali si pone una bella firma vettorializzata come quella che ho messo nell’immagine in evidenza di questo articolo (per fare satira naturalmente).

Per non parlare poi dei cosiddetti “Guru” del marketing che hanno scoperto il segreto dell’acqua calda per diventare milionari ma, STRANAMENTE, invece di godersi la loro fortuna in una vacanza a tempo indeterminato alle isole Fiji, sembrano passare la vita davanti al loro computer ad “assillare” letteralmente chiunque abbia scritto nel proprio profilo “CEO” o “Founder” per trasformare in poco tempo e con due lire la loro impresa in SpaceX senza sapere neanche di cosa si occupa; che altruisti!

Sembra di essere al mercato del pesce.

Mi domando se queste persone dai post “lapalissiani”, abbiano mai messo piede in una vera azienda italiana, una di quelle che generano l’80% del PIL, o se il loro universo si fermi a multinazionali come Google, Meta e altre dai margini miliardari. Quelle che possono permettersi di riempirsi la bocca (e le slide) con “Welfare”, “ambiente di lavoro senza stress”, “assicurazioni sanitarie per te e la tua famiglia”, “lavoro agile” e via dicendo.

E naturalmente, dettaglio che spesso sfugge, lo fanno anche per ragioni fiscali: trasformare parte del costo del lavoro in benefit deducibili consente di ottimizzare il bilancio d’esercizio e ridurre l’imponibile IRES, mantenendo al contempo i dipendenti soddisfatti. Strategia lecita, e per certi versi intelligente.

La mia critica, sia chiaro, non è rivolta a queste aziende, che fanno benissimo a usare gli strumenti fiscali disponibili e a valorizzare i propri dipendenti. Anzi: un dipendente più sereno e ben retribuito ha un tenore di vita più alto, e quindi quei soldi tornano comunque, in un passaggio di mano aggiuntivo, anche allo stato sotto forma di consumi, IVA, tassazione personale.

La mia critica è rivolta al mito tossico che si cerca di esportare: l’illusione che basti un post, un tool no-code e un’email scritta in inglese per far diventare ogni microimpresa la nuova SpaceX. La realtà è molto diversa. E chi non l’ha mai vissuta, forse dovrebbe osservarla e studiarla attentamente prima di permettersi di pontificare.

No signore! Troppo facile parlare di valori lavorativi quando si ragiona su società con fatturati di miliardi di euro… Io parlo di piccole e medie imprese (PMI), che rappresentano il 99% delle imprese in Italia (la normalità dunque è questa, non è Leonardo, non è Ferrero, non è Barilla), quelle imprese che impiegano circa il 78% della forza lavoro privata e contribuiscono al 65% del valore aggiunto complessivo. Se consideriamo anche le microimprese, si arriva a sfiorare l’80% del PIL, come già accennavo.
L’Italia resta in piedi e può sedersi al tavolo del G7 grazie a questo tessuto imprenditoriale, il cosiddetto “zoccolo duro”.

Quando leggo frasi di questi personaggi del tipo “Con quelli bravi si lavora meglio”, resto perplesso: c’è davvero qualcuno che abbia perso totalmente il senno da poter non concordare con affermazioni di questo tenore? Direi di no, ecco perché ritengo un contenuto del genere lapalissiano e populista. Ma, terminata questa parentesi di pensiero degno delle migliori fiabe di Gianni Rodari, torniamo alla realtà…

La maggioranza delle imprese italiane sono PMI, quelle stesse che le tasse le pagano tutte, sempre e fino all’ultimo centesimo (almeno la maggior parte), e di quelle che non le pagano, spesso non lo fanno perché non riescono a pagarle tutte – non per atteggiamenti fraudolenti! Il bivio è: “O pago lo Stato per farglieli buttare con le marchette elettorali o pago i miei dipendenti” ed è così che imprenditori caduti in periodi bui, rischiano di vedersi sequestrare beni mobili e immobili… Per non far mancare il pane ai loro dipendenti ed evitare di licenziarli lasciandoli in mezzo a una strada.

Chiusa questa parentesi… In Italia regna il precariato, che non è imposto dai datori di lavoro, bensì dallo Stato. Non potrebbe essere altrimenti: un’azienda, per dare 1.600 euro di stipendio a un dipendente, deve spenderne quasi 3.000.

In tutto ciò, la maggioranza degli imprenditori deve combattere con una burocrazia senza limiti di sorta, con procedure lente e complesse, che frenano sia le assunzioni sia gli investimenti, obbligando le stesse aziende a dedicare molte fatiche alla gestione amministrativa.

Dipendenti che, con quel poco che l’azienda riesce a dare, sotto la pressa del fisco, non riescono ad arrivare a fine mese, e vivono la loro vita (…e magari fosse solo quella lavorativa…) con carichi di stress e incertezza nel futuro.

Difficoltà di accesso al credito, tanto per i dipendenti, quanto per le aziende. Specialmente per le PMI, ottenere finanziamenti adeguati a sviluppare progetti di crescita o di R&S è un dramma, perché non hanno accesso a nessun tipo di credito.

Dal punto di vista del fisco, oltre al carico fiscale elevatissimo (tra i primi in Europa), la mancanza di certezze a medio e lungo termine rende difficile pianificare e programmare gli investimenti.

A livello contrattualistico, il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da vincoli che, se da un lato tutelano i lavoratori, dall’altro possono scoraggiare la crescita delle imprese, soprattutto in un contesto di incertezza economica come quello che sta vivendo l’Italia dalla fine degli anni ’90 in poi dopo l’ingresso nell’eurozona.

Molte PMI faticano a stare al passo con la trasformazione digitale, e perdono così competitività su mercati sempre più globalizzati. Questo è dovuto al fatto che nonostante esistano dei fondi per la digitalizzazione 4.0, accedervi richiede procedure burocratiche labirintiche, tempi biblici e richieste di asseverazioni da parte di enti accreditati certificatori che spesso hanno costi elevati che portano le aziende a rinunciare a progetti di automazione e digitalizzazione dei processi aziendali.

A livello geografico esiste poi un divario netto tra nord e sud che riguarda infrastrutture e servizi, che sfociano in una diminuzione delle opportunità di sviluppo che ostacolano un’equa distribuzione dei posti di lavoro e degli investimenti.

Rispondendo a: “con quelli bravi si lavora meglio”. Quelli bravi giustamente vogliono essere pagati come si deve. Altrimenti le porte per la Francia e la Germania, se non addirittura l’America e il Canada, sono spalancate. Produciamo talenti nelle università per farli produrre nelle altre nazioni. Che fenomeni! Anche a me piacerebbe avere un talento che lavorasse con me, anche perché sto seriamente rischiando il burnout, ma con il mio fatturato e la quantità smisurata di tasse che pago non avrei potuto dargli più di 1500 euro al mese, e non i 4000 netti al mese come meriterebbe. Ovviamente ho evitato di fare la figuraccia e continuo a sbattermi da solo! Prima o poi mi troverete in clinica.

In conclusione, prima di condividere sui social riflessioni preconfezionate e frasi di circostanza, sarebbe forse meglio immergersi di più nella realtà imprenditoriale italiana, fatta di tantissime piccole imprese e di veri e propri eroi che, pur tra mille difficoltà, sorreggono questo Stato indegno del loro sacrificio e del sacrificio di milioni di lavoratori, che devono lavorare per guadagnare stipendi tra i più bassi in Europa in un ecosistema economico dove il potere di acquisto è costantemente in ribasso.

Personalmente, credo che di base, il dibattito sui social possa essere stimolante e interessante, a patto che si affrontino i problemi reali e, magari, si propongano soluzioni concrete, non basando le argomentazioni su frasi fatte come “La pace è meglio della guerra”… E grazie al ca@@o! Hai capito che scoperta?! La cosa preoccupante però è che prendono pure migliaia di Like…

Simone Renzi
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