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Personalmente ritengo il Prof. Galimberti un neo-illuminato, insieme a pochissime altre persone che hanno mantenuto un livello culturale, di analisi e di “altezza” tale da poter osservare il mondo con una visione a raggi-x sulla realtà che li circonda. Le analisi che vengono compiute sono sempre molto chiare, cristalline e spiegate con parole semplici, il ché mi fa propendere per l’idea che si sappia veramente di cosa si sta parlando.
Chi capisce profondamente una tematica, che sia questa di natura storica, filosofica o sociale, è in grado di far arrivare il messaggio della sua idea alle masse con parole semplici e facilmente comprensibili. Qui trovate il suo intervento.
Il Professore apre il suo intervento parlando della situazione dei giovani, giovani che non vedono chiaro il loro futuro. Giovani i cui genitori gli dicono di essere fortunati ma la verità non è questa. Effettivamente se ci pensiamo i nati negli anni 50 hanno cavalcato una parabola ascendente. Appena usciti dalla seconda guerra mondiale, conclusasi nel 1945, si trovavano in un mondo che ospitava una società in povertà, con i genitori che avevano sofferto la grande guerra, ma tutto sommato si era toccato il punto più basso, e nulla poteva essere fatto se non risalire.
Era stata istituita la prima Repubblica, il 2 Giugno del 1946, ci si stava muovendo per costruire un mondo migliore, maggiormente strutturato e totalmente nuovo.
Ricostruire significa dare lavoro, far girare l’economia, dare modo alle persone di poter guadagnare e spendere e mettere in condizione i nuovi imprenditori di fare impresa. La lira acquistava valore sul mercato, al salire dell’inflazione corrispondeva un aumento degli stipendi al punto che il potere d’acquisto della moneta andava addirittura migliorando.
I nostri genitori potevano trovare lavoro con un diploma, le aziende da poco costituite erano prese d’assalto dal primo periodo di consumismo e questo produceva alti fatturati che si convertivano in un maggior numero di posti vacanti… Le aziende erano in espansione economica.
Parlo da 40enne… I nostri padri non hanno trovato difficoltà a trovare lavoro con un semplice diploma, oggi per la maggior parte delle persone non basta neanche il dottorato di ricerca e i vari master accumulati negli anni; anzi, mi capita di sentire persone che non vengono assunte perché troppo qualificate, altre perché poco qualificate. In verità tutto dipende da due unici fattori:
Questo, nella maggior parte dei casi, non è frutto di una scelta fatta dall’imprenditore, ma dalla necessità di un imprenditore di conservare la liquidità di cassa, perché per scelte economico-politiche scellerate il più delle volte nonostante la necessità di assumere per garantire la produttività, non riesce economicamente a proporre stipendi più appetibili.
Tutto questo nasce da ciò che Nietzsche definisce come Nichilismo come spiegato dal Prof. Galimberti, ovvero dalla distruzione dei valori.
In uno scenario saturo, quello odierno, in cui i giovani sono abituati alle comodità con cui sono cresciuti grazie al periodo fiorente attraversato nell’infanzia, dove i genitori erano in condizioni di soddisfare ogni loro esigenza; gli stessi giovani a 30 anni si trovano in una condizione psicologica in cui sentono la necessità di mantenere quegli standard, ma in una situazione lavorativa che non glielo permette. Questo genera ansia, sfiducia nel futuro e per la prima volta conoscono cosa sia la “necessità“.
Affrontare la necessità per la prima volta quando si è uomini non è un concetto facile da digerire, specie quando il mondo lì fuori è diventato (per necessità dei singoli) un mondo non più fatto di opportunità ma di sfide. Un mondo in cui ognuno si trova a dover lottare contro l’altro per garantire il sostentamento a lui e alla propria famiglia o peggio ancora, per avere l’opportunità di creare una propria famiglia.
Una frase molto interessante di Galimberti è che i giovani “vivono in presa diretta 24 ore su 24, vivono l’assoluto presente, perché sporgere lo sguardo al di là del presente produce angoscia”.
Come progettare in un futuro imprevedibile? Come buttare giù le fondamenta della propria esistenza: avere un lavoro sicuro per comprare casa e creare una propria famiglia se si vive nell’insicuro?
Se ci riflettiamo bene la tesi è l’antitesi di sé stessa… Cercare sicurezza nell’insicurezza! Ecco allora che secondo Galimberti, il darsi all’alcool, alle droghe e, ci metto io assumere atteggiamenti da bullo, fanno parte di uno scudo che il giovane costruisce contro un mondo che non gli da possibilità, un mondo in cui è preferibile non capire, non essere lucidi, piuttosto di comprendere e abbattersi. Per questo il giovane vive il presente, perché il presente è l’unico tempo a cui possono pensare, l’unico momento che gli da sicurezza perché sono lì.
Galimberti a questo punto menziona il concetto di famiglia, dicendo che le famiglie di oggi sono disastrate, che una famiglia su tre ha genitori separati. Io credo che anche questo problema sia derivato da più variabili… La prima è sicuramente imputabile al nichilismo, la distruzione del valore famigliare. La seconda dovuta alla globalizzazione e alla digitalizzazione. I social network sono in gran parte responsabili.
I nostri nonni, per lo più nati e morti in un’epoca totalmente “analogica” conoscevano le proprie mogli di solito nella loro zona, si sceglievano in un campione molto ristretto di persone e forse erano per necessità più capaci a dialogare. Una volta sposati il concetto di divorzio era come bestemmiare in Chiesa perché i valori erano quelli e anche davanti alle difficoltà si cercava in un modo o nell’altro di risolverle con il dialogo e andare avanti, perché non c’erano poi tante alternative.
Oggi viviamo in un mondo pieno di alternative dove si da molta più importanza all’apparenza che non alla sostanza perché esistono degli stereotipi che sono stati modellati ad-hoc solo per fini economici. Oggi ci sono bambine di 13 anni che ne dimostrano 20. Donne fatte, avvolte dagli stereotipi delle famose blogger e star dei social, sempre truccate, perfette ed impeccabili, spesso totalmente rifatte dalla testa ai piedi, sposate con calciatori e che, grazie alla loro condizione di notorietà arrivano a lavorare in televisione mostrando la loro vita fatta di lusso sfrenato.
Il mondo degli uomini non fa certo differenza!
Oggi sono questi i modelli da prendere come esempio. Da bambino il mio modello da seguire era Albert Einstein, Neil Armstrong. Abbiamo assistito nel corso del tempo, con l’avvento della tecnologia ad una sostituzione di variabili: il passaggio dall’arte e la cultura, all’estetismo più becero e questo ha creato dei danni enormi alle popolazioni, sia a livello culturale che sociale, e soprattutto psicologico.
Le ragazzine vogliono fare le veline o assomigliare alla loro blogger preferita, pensano a rifarsi il seno a 15 anni perché paragonandosi a chi ha investito migliaia e migliaia di euro sul proprio corpo si vedono imperfette. Si è arrivato al disconoscimento di sé stessi in un ottica che genera insicurezza psicologica.
Eppure non ci vorrebbe mica molto a comprendere che 7 milioni di persone non possono fare tutti contemporaneamente i calciatori o le veline. Matematicamente parlando questo starebbe a significare che il 99,99999% della popolazione resterà disillusa.
Tornando alla famiglia, come già accennato, oggi ci sono tanti stimoli, l’uomo e la donna oltre ad una parte umana possiedono entrambi una parte animale, per lo più carnale e gli stimoli e la facilità con cui conoscere altre persone che possono dare libero sfogo a questi stimoli attraverso il web, rende l’equilibrio della famiglia sempre più precario, perché nella loro testa si fa prima a cercare un’alternativa, una valvola di sfogo rispetto a sedersi, spegnere i cellulari e riflettere per trovare una soluzione ad un problema insieme, tramite il dialogo. Viviamo nell’epoca dell’esemplificazione, dove si crede scioccamente che tutto sia semplice mettere in atto. Tutte queste cose vanno ad accrescere i problemi della famiglia e alla fine molte famiglie decidono di optare per il divorzio. Un divorzio dato dalla mancanza di dialogo e spinto dalla facilità di trovare alternative.
I figli ne risentono pesantemente e questo è un dato di fatto, e ciò si ripercuote sulla loro vita, anche nella sfera culturale.
Le scuole non migliorano la situazione e Galimberti da, secondo me, un’immagine estremamente realistica della situazione relativa all’istruzione.
Scuole elementari che funzionano, medie inferiori che sono un disastro totale, medie superiori che non educano ma forniscono nozioni, e aggiungo università che definirei obsolete sotto tanti punti di vista, almeno qui in Italia.
Interessante il ragionamento sui diversi tipi di intelligenza…
Ognuno di noi è totalmente diverso dagli altri. Salvo casi di ritardi dovuti a problemi fisici, ritengo che ognuno di noi sia più bravo di altri a fare qualcosa. È un dato di fatto prettamente statistico! La capacità degli insegnanti dovrebbe essere quella di comprendere, dall’alto della loro esperienza, quale tipo di intelligenza è più sviluppata in un bambino e indirizzarlo al fine di aiutarlo a coltivarla e farlo eccellere in quei mestieri che sfruttano quel genere di intelligenza.
È vero! Oggi si incentra tutto sull’intelligenza logico matematica, ma io mi permetto di specificare ulteriormente: quella logico-spaziale. Addirittura i test di quoziente intellettivo sono indirizzati a comprenderne i meccanismi e attribuirgli un punteggio. Esistono tantissimi altri tipi di intelligenza: l’intelligenza verbale che riguarda la capacità di esprimersi, comprendere un testo e sintetizzarne i contenuti (viviamo in un paese che presenta una popolazione del 70% di analfabeti funzionali, ovvero persone che dopo aver leggendo un testo non sono in grado di comprenderne il significato). L’intelligenza mnemonica che permette di memorizzare cose che vediamo e conservarle nel nostro cervello per poi farle riaffiorare quando è necessario ricordarle. L’intelligenza motoria che permette di sincronizzare perfettamente i movimenti. L’intelligenza musicale che permette di mantenere il ritmo, ricordare suoni e timbri, apprezzare la musica in tutte le sue forme. L’intelligenza emotiva, molto importante, che permette non solo di captare gli stimoli esterni, ma che fornisce anche la capacità di rapportarsi con gli altri, farsi domande, mettersi al posto di qualcun altro prima di compiere un’azione contro o a favore di quella persona.
L’intelligenza è un concetto estremamente complesso e non si può dire che una persona sia intelligente solo perché ha un QI molto alto. Certamente può dare delle indicazioni su un sottoinsieme dell’intelligenza, ma non è una misura assolutamente esaustiva per catalogare oggettivamente individui intelligenti da altri che lo sono meno.
Da questo è facile comprendere che l’intelligenza emotiva è forse quella che abbiamo meno sviluppato nel tempo in cui viviamo, perché la sua mancanza è anch’essa responsabile di questa perdita di valori. “Non capisco che agendo in questo modo posso fare del male a qualcun altro perché non sono abbastanza intelligente da comprenderlo”… Da qui si segue facilmente lo stereotipo sbagliato del bullo, quello che ottiene tutto con la violenza perché non è sufficientemente intelligente da comprendere come si sentirebbe se quell’atto di bullismo fosse lui stesso a riceverlo. Il bullo però viene rispettato perché pone la sua supremazia sugli altri grazie al senso di terrore che incute ed è per questo che quando ancora l’adolescente non ha sviluppato un suo carattere, ne prende esempio. Tutto questo può funzionare alle medie inferiori, al liceo, cosa ne è dei bulli quando questi diventano uomini?
Seguire questi stereotipi è oltremodo pericoloso per un futuro già troppo incerto, e l’unica certezza che può dare la prosecuzione di questa via è quella del fallimento sotto tutti i punti di vista: quello lavorativo, quello sociale, quello emozionale; perché i bulli in età adulta vengono allontanati.
In adolescenza, con questo genere di atteggiamenti si perde tutto ciò che di bello ha prodotto l’umanità fino ad oggi, dalla letteratura all’arte, passando per quella che ritengo l’Arte con la A maiuscola: la musica.
Lo stereotipo di bullo è colui che ritiene la musica classica una musica da sfigati. Mi chiedo come facciano a non comprendere quanto di bello ci sia nella musica classica. Musica composta da geni assoluti che, stando ai prodotti della società moderna, non torneranno mai più, a meno di non deviare bruscamente questa rotta.
Come potrà mai nascere un altro Mozart o un altro Chopin o un Bach o un Beethoven se il prodotto della società è fatto di giovani che non ne riconoscono nemmeno l’oggettiva altezza?
Io che ho coltivato la passione per la musica classica sin da bambino (parallelamente agli studi universitari mi sono diplomato in pianoforte), vivo in una realtà percettiva che è estremamente diversa da quella che definirei bifolca, impartita dagli stereotipi sbagliati. Mi domando costantemente come non si possa apprezzare il valore artistico di un primo concerto per pianoforte e orchestra di Chopin, di una Quinta Sinfonia di Beethoven che possiede un fortissimo significato spirituale: “il destino che bussa alla porta”, del concerto K. 488 di Mozart che annovera uno degli adagi nel secondo movimento più struggente e monumentale di tutta la musica del periodo classico, ma anche delle meno conosciute (almeno ai neofiti) sinfonie di Mahler.
Non vengono comprese perché non si è sviluppata l’intelligenza che rende possibile la loro comprensione.
Galimberti a questo punto parla anche delle bad practice dei sistemi di assunzione dei professori.
Io ho sempre sostenuto che un eccellente scienziato non è detto che sia anche un eccellente professore.
Da bambino ascoltavo spesso trasmissioni scientifiche e mi capitava di seguire con grande interesse le interviste a personaggi del calibro di Margherita Hack, di Antonino Zichichi, di Carlo Rubbia.
Personalmente ritengo che Zichichi sia un eccellente scienziato ma che le sue capacità espositive siano assolutamente limitanti per spiegare la sua materia alla massa. Questo non significa che Zichichi non sia uno scienziato valido, lo ripeto, ma risultano molto più chiare le spiegazioni fornite dalla Hack… Chissà, magari anche per Einstein era la stessa cosa.
Galimberti suggerisce un test di personalità oltre al concorso per l’assunzione di nuovi professori e mi trovo perfettamente d’accordo. Un concorso può verificare le competenze e conoscenze professionali ma non può verificare se si è in grado di sintetizzare argomenti complessi per farli arrivare agli studenti. Non può dare indicazioni sul carisma di chi si accinge a svolgere la carriera di insegnante. Non può dare indicazioni sulla sua empatia.
Quando penso a questo concetto mi viene in mente Vincenzo Schettini, il professore di fisica di un liceo, diventato famoso su YouTube grazie ai suoi video in cui spiega la natura e da quali leggi fisiche è regolamentata. Lo spiega con un linguaggio semplice, facendo tanti esempi e da queste lezioni si evince che svolge il lavoro che ama. Ha empatia con i suoi studenti che durante i video sono attenti e responsivi alle sue domande.
Al di là del look che potrebbe essere discutibile per qualcuno, quel professore lo ritengo molto bravo nel suo lavoro. Possiede la capacità di insegnare facendo divertire, creando aspettativa, catturando l’interesse e cercando di far appassionare gli studenti ad una materia complessa e pertanto spesso odiata da molti.
Sono abbastanza sicuro che quel professore abbia meno nozioni scientifiche di Antonino Zichichi ma dal punto di vista dell’istruzione lo ritengo personalmente superiore.
Ecco che anche i professori possiedono la loro grande fetta di responsabilità nella fase di crescita culturale e sociologica dell’adolescente e pertanto dev’essere scelto sapientemente valutando una serie di requisiti e non unicamente le conoscenze fini a sé stesse.
Corrado Augias, altra figura di cui ho grande stima, raccontò un aneddoto di quando era studente. Il suo professore di filosofia chiese alla classe a cosa servisse studiare… Molti studenti diedero risposte valide: “A diventare adulti, a diventare brave persone, ad aumentare il nostro livello culturale”. Nonostante tutto il professore non era soddisfatto delle risposte ed esclamò: “Studiare serve ad evadere dal carcere!”.
Gli studenti sgomenti restarono attoniti all’udire una frase così equivoca…
Il professore riprese: “l’ignoranza è un carcere, perché la dentro non capisci e non sai che fare! Studiare serve ad evadere dalla prigione, da chi vi vuole stupidi e creduloni e a scavalcare il muro dell’ignoranza per poter capire senza chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi!”.
Frasi simili vengono anche da Nelson Mandela: “L’istruzione è la porta di ingresso alla libertà, alla democrazia e allo sviluppo“.
Per quanto mi riguarda: studiare e, cosa più importante, coltivare tutti i tipi di intelligenza, in particolar modo quella emotiva, permettere di accendere una luce per poter illuminare, anche se non in profondità, questo futuro così buio che ci attenderà nei prossimi anni. Darà speranza e consapevolezza nelle proprie capacità, voglia di fare e stimolo all’impegno.
Chi crede fermamente in un progetto ed ha lavorato su sé stesso allenandosi per la gara della vita, in un modo o nell’altro ne uscirà vincitore, ma c’è da faticare, non fatevi ingannare dal fantasma dell’esemplificazione… Nella vita non esistono cose che, fatte ad alti livelli, siano semplici!